The Battery (2012)

Hall

Nel panorama, peraltro molto affollato, di film recenti sugli zombi, The Battery, di Jeremy Gardner, si presenta con caratteri di novità e di originalità che lo rendono affascinante e profondo. A cominciare dal fatto che gli zombi, che pure sono al centro della scena, sembrano solo un pretesto. Come del resto è un pretesto per parlare d’altro la scelta di fare oggi un film sugli zombi a basso costo (il film sembra non sia costato più di 6000 dollari), senza effetti speciali e senza troppe pretese.

Green Forest

Intanto perché a fare da sfondo al film c’è una sorta di normalizzazione dell’apocalisse: in The battery gli zombi non sono un problema né lo è la sopravvivenza, l’approvvigionamento di cibo, la convivenza con gli altri superstiti, la paura della morte. Il problema è semmai il vuoto della solitudine, che i due protagonisti cercano di riempire con i simulacri dell’esistenza passata e con la speranza di essere riammessi nel consorzio sociale che, appena si presenta l’occasione, diventa il solo motore della narrazione.

Zombies

Gli zombi, insomma, non sono il nemico, e per una volta il pericolo non viene dalle masse tutto sommato innocue di lentissimi e stupidissimi walkers (a contarli, poi, nei titoli di coda, non sono più di cinquanta). È dai sopravvissuti, sembra dirci Gardner, che bisogna guardarsi: da un individuo che fugge disperato da una comunità di cui non sappiamo nulla, ma che ha già ripetutamente rifiutato i due protagonisti della vicenda; e da due spietati membri di quella comunità che, pur di non mettere a repentaglio la sicurezza raggiunta, creeranno le condizioni del tragico, claustrofobico finale.

Baseball

Tre sono gli elementi che Gardner utilizza per ottenere l’effetto di normalizzazione dell’apocalisse su cui riesce a costruire il suo film. A cominciare dalla musica, che sostiene davvero la narrazione. Sia attraverso l’uso insistito e personale del lettore cd (che si spiega anche con ragioni pratiche: un iPod avrebbe bisogno di energia elettrica, un lettore cd ha bisogno solo di batterie che si possono trovare nelle case abbandonate lungo la strada: nasce da qui l’ossessione per le pile cui il titolo fa riferimento, anche se solo in parte: per il resto è Ben che dice “siamo una squadra, una batteria”); sia per il gusto indie-pop della playlist. La musica è infatti l’unico legame con il passato che, per qualche minuto, consente di isolarsi, crea l’illusione che nulla sia successo e offre la possibilità di credere in un presente scanzonato a Mickey, il personaggio che meno di tutti riesce ad accettare quello che sta accadendo (non ha mai ucciso uno zombi e ha affidato a Ben la conduzione della quotidianità).

Still

In secondo luogo, a normalizzare l’apocalisse, interviene la fotografia che risente certamente dell’influenza di instagram e di un gusto hipster (il film è del 2012) che, invece di risultare consolatorio, sembra utile a mantenerci legati al mondo di prima, a farcene rimpiangere la possibilità di abbellirlo con uno smartphone. Non è però solo per una questione di uso della luce in senso stretto, ma anche e soprattutto per il gusto di cogliere i particolari (i piedi, i volti, la natura). Anche attraverso questo gusto giovanile per l’immagine si resta con un piede al di qua dell’apocalisse e lo spettatore può riconoscere nei paesaggi vintage una stabile connessione con l’oggi.

Poster

La regia, infine, è lentissima: abbondano i campi lunghi e i piani sequenza, i tempi di sospensione sono dilatati fino allo spasmo generando però, invece che tensione o noia, la sensazione ipnotica di un’attesa che non verrà mai soddisfatta. Tutto il contrario dell’inquietudine a cui ci hanno abituato i film e i telefilm del genere, a cominciare da The Walking Dead, che è strutturato in modo da avere in ogni episodio almeno uno o due momenti di attesa destinati a risolversi con la paura e, subito dopo, con la catarsi.

Gun

The Battery è un film senza catarsi, in cui cioè la catarsi è sempre invocata ma mai realizzata. Lo spettatore non ne esce consolato, perché non ci sono eroi né la vicenda del film ci riconcilia con l’umanesimo che, alla fine, in maniera problematica, sottostà al fondo del genere. La morte viene dall’uomo e nessun senso della comunità, nessuna solidarietà sembra possibile nello stato di eccezione, proprio perché non era possibile nemmeno prima che tutto andasse perduto.

Red Forest

Da questo punto di vista, insomma, The Battery utilizza la connotazione del genere, il retroterra simbolico e mitico che sta dietro a una tradizione ormai consolidata, per per mettervisi subito ai margini. Gli zombi non sono che un pretesto, non fanno paura, sono derisi e canzonati, non rappresentano un pericolo. È dall’uomo che occorre guardarsi, da coloro che per necessità o per scelta, sconosciuti o familiari, lottano per la sopravvivenza. Non è nell’epidemia misteriosa che ha generato i mostri, ma in quella lotta senza quartiere dell’uomo contro l’uomo che risiede l’originaria apocalisse cui siamo condannati.

Crew

Si potrebbe trovare un precedente illustre, al di fuori del genere zombi, in un film come Gerry, di Gus Van Sant, che risale giusto a dieci anni prima. Ma mentre Gerry è il frutto di una ricerca nell’interiorità, in cui la relazione e il conflitto hanno valore solo nella misura in cui si misurano con la solitudine, The Battery è di fatto calato in un orizzonte apocalittico e dell’apocalisse conserva la dimensione sociale e il rapporto tra individuo e comunità. In questo senso, seguendo la traccia delle implicazioni di razza e di classe che sono alla base del genere, è facile rendersi conto che l’esclusione sociale cui sono condannati Mickey e Ben, non a caso un latino e un fricchettone molto bear, sta inscritta nella loro resistenza anarchica alla sopravvivenza, al lavoro, all’ossessione per la governance che assillano il mainstream del cinema zombi.

I poster vengono da qui; la foto di gruppo, quella sul divano e il bosco vengono da qui; la foto dei due protagonisti viene da qui, la locandina, invece, l’ho trovata qui.

2 thoughts on “The Battery (2012)

  1. va detto comunque che già nei film di Romero (che sono vere e proprie allegorie poltiche) e anche in The Walking Dead la contrapposizione più interessante è tra i sopravvissuti più che tra vivi e zombie

    1. Non potrei essere più d’accordo. È solo che, mentre in Romero la critica sociale va nella direzone della razza (Night of the Living Dead) o del consumo (Dawn of the Dead), e in The Walking Dead al centro del problema stanno il potere e la governance, in The Battery sembra che tutto questo sia stato dato per scontato, come qualcosa che faceva parte della cultura umana di prima dell’apocalisse. A Mickey e Ben non importa della razza, del consumo e del potere, e la rappresentazione del conflitto fra i sopravvissuti si esaurisce nell’esclusione sociale dei due protagonisti.

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